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GEOPOLITICA E DEMOCRAZIA / Obama e l'Iran, sogni e bombe

di Paul Wolfowitz*

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29 settembre 2009

Barack Obama ha dato prova di straordinaria flessibilità riguardo al dossier del nucleare iraniano. Ha sostenuto il «diritto a un programma di energia nucleare civile», si è detto pronto a incontri senza porre condizioni e ha prorogato le scadenze da lui stesso fissate per l'avvio di negoziati seri con Teheran. Ha mantenuto questa posizione a dispetto dei discorsi bellicosi dell'Iran e delle pressionidel Congresso per l'adozione di sanzioni.

Questo atteggiamento non ha prodotto tuttavia nessuna risposta positiva da parte di Teheran, ma ha dimostrato con chiarezza che l'ostacolo alla soluzione non era il rifiuto degli Usa di sedersi al tavolo delle trattative. Anche quando alla Casa Bianca c'era Bush gli Stati Uniti partecipavano regolarmente a colloqui multilaterali con l'Iran.Ma se con la precedente amministrazione poteva esserci qualche ambiguità sulla disponibilità a negoziare, con l'amministrazione Obama no.

La rivelazione della scorsa settimana sull'esistenza di uno stabilimento segreto per l'arricchimento dell'uranio mostra con chiarezza che i governanti iraniani vogliono dotarsi di armi nucleari. Il buon senso lo suggeriva già da tempo. L'Iran dispone di riserve accertate di gas naturale seconde solo a quelle della Russia, e quattro volte superiori a quelle degli Usa. Con due terzi di quelle riserve ancora non sfruttate, costruire costose centrali nucleari rappresenta uno spreco di risorse. E anche per quel che riguarda l'energia nucleare sarebbe più economico comprare combustibile per reattori che arricchire l'uranio. Perché l'Iran starebbe sviluppando missili balistici a lungo raggio se le sue intenzioni sono pacifiche? Perché costruire un impianto segreto che è troppo piccolo per essere utile dal punto di vista commerciale e situato in una base militare? Come ha detto la settimana scorsa un alto funzionario di Obama: «Gli iraniani hanno creato questo stabilimento di centrifugazione con l'intento di mantenerlo segreto, e dunque avere la possibilità di produrre uranio adatto a scopi militari senza che la comunità internazionale ne venga a conoscenza».

Nel 1994, i fautori dell'accordo-quadro con la Corea del Nord sostenevano che le autorità di Pyongyang non avrebbero imbrogliato perché i rischi, in caso di scoperta, erano troppo grandi. Quando l'amministrazione Clinton trovò indizi di uno stabilimento segreto nel '98 non fu in grado di dimostrarlo, forse perché i nordcoreani avevano ripulito il sito (come probabilmente stanno facendo ora gli iraniani). La prova definitiva venne alla luce solo nel 2002, ma Pyongyang, messa di fronte alla violazione degli accordi, si affrettò a dichiarare nulle le restrizioni stabilite nel ' 94, riprese a trattare il plutonio " salvaguardato" e sperimentò un apparecchio nucleare. Di fronte alla prospettiva che il regime potesse fare cose peggiori, gli Usa hanno continuato a fare concessioni per far ripartire i negoziati.

L'Iran ha detto di voler semplicemente seguire il modello giapponese di sviluppo del nucleare civile. Nel 2002, Ichiro Ozawa, ora segretario generale del nuovo partito di governo in Giappone, ha detto: «Nelle nostre centrali nucleari abbiamo abbastanza plutonio da permetterci di produrre 3 o 4mila testate nucleari». Considerando la politica estera pacifista del Giappone, queste scorte non sono ragione di inquietudine. Nessuno pensa che il Giappone possa cacciare gli ispettori dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica e abrogare le clausole di salvaguardia, come ha fatto la Corea del Nord. Lo stesso non può dirsi dell'Iran, che accresce le proprie capacità di contrattacco producendo uranio a basso arricchimento.

In circostanze normali, anche le sanzioni più severe difficilmente convincerebbero Teheran a rinunciare all'obiettivo dell'atomica: l'economia iraniana è molto meno vulnerabile alle sanzioni di quella nordcoreana, e i governanti hanno dimostrato di tenere in scarsa considerazione le sofferenze della popolazione. Ma la spinta riformista iniziata con le proteste contro la frode elettorale di giugno offre un'opportunità per coinvolgere il popolo iraniano nel dibattito sui costi reali delle ambizioni nucleari dei suoi governanti.

Per farlo, il mondo, invece di parlare del diritto al nucleare civile, deve parlare di come il regime stia sprecando le risorse del popolo. Per farlo bisogna fare il possibile per sostenere le forze riformiste in Iran, sia simbolicamente che praticamente. Questo comporta anche far capire agli iraniani che pagheranno un prezzo sempre più alto per le ambizioni nucleari dei loro governanti. Applicare le sanzioni più severe possibili, e in fretta. L'idea che l'Iran possa evitare le sanzioni senza rinunciare all'arricchimento dell'uranio, semplicemente aprendo le sue strutture illegali alle ispezioni, verrà interpretata da Teheran come un segnale di debolezza. Anche un approccio di questo genere potrebbe non bastare a dissuadere Israele dall'agire per conto proprio, ma almeno offre qualche chance di successo. E a rischio non è soltanto la sicurezza dello stato ebraico: anche i vicini arabi dell'Iran sono profondamente preoccupati per l'eventualità che un Iran dotato di armi atomiche possa sostenere ancora più apertamente organizzazioni terroristiche e sovversive, e perfino ricorrere ad aggressioni militari convenzionali; gli americani devono prendere in considerazione la possibilità che l'arma atomica possa incoraggiare Teheran a offrire rifugio ad alQaida o altre organizzazioni terroristiche, o - ed è lo scenario più catastrofico - addirittura a fornire loro di nascosto armi nucleari.

  CONTINUA ...»

29 settembre 2009
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